8 marzo 2017: uno sciopero che rovina la festa
La domanda è semplice: quando si è sottopagati, ricattati o molestati sul lavoro, quando si rischia più di altri di venire licenziati senza giusta causa, quando vengono precluse possibilità di avanzamento di carriera nonostante le capacità e il curriculum, o quando, sempre nonostante le capacità e il curriculum si fa parte della maggioranza dei disoccupati, quando insomma si verificano queste condizioni, è lecito o no indire uno sciopero?
Sì, è lecito. E lo è in particolare modo per le donne. Perché in Italia guadagnano fino al 17% in meno degli uomini a parità di esperienza, perché la maternità le espone alle dimissioni in bianco, perché il nostro sistema non è adeguato né alla prevenzione né alla gestione della violenza che possono subire in casa, per strada o sul lavoro, perché solo una donna su due lavora, una su quattro dopo la seconda maternità, perché vengono ostacolate nel raggiungimento di posizioni di potere politico o economico.
Di ragioni “pratiche” ce ne sono a sufficienza. In Italia abbiamo scioperato anche per molto meno, ed è stato comunque legittimo. Eppure in molti sentono la necessità di esprimere la propria opinione contraria a questo sciopero. Persone che non si sono mai particolarmente interessate a capire la ragione per cui un giorno magari hanno dovuto prendere un treno al posto di un altro o hanno trovato la metropolitana chiusa, oggi salgono sul pulpito e ci spiegano perché secondo loro questo sciopero è una sciocchezza, un capriccio. “Così si mettono in difficoltà proprio le donne che non scioperano e dovranno fare i salti mortali per organizzarsi”, dicono, confermando con queste stesse parole che sono sempre le donne la parte più vulnerabile della nostra società (come mai gli uomini non si sentono in difficoltà?). “Io non sciopero perché vado a lavorare e combatto così ogni giorno” è un’altra dichiarazione che ostenta una forza che nella realtà del mercato del lavoro non abbiamo, l’adesione a un modello rampante che dissimula le nostre debolezze e finisce per danneggiarci.
Ed è anche vero che culturalmente le donne devono sempre ricoprire un ruolo di conciliazione e non di rottura, ed è inaudito che adesso le donne vogliano scendere in piazza. Una stramberia. Si insegna alle bambine che devono stare composte e non comportarsi come maschiacci. Le bambine devono essere carine e sensibili. Lasciamo quindi che siano gli uomini a protestare, a combattere, a scendere in piazza: non sono cose da donne. Lasciamo che l’otto marzo sia una festa concessa alle donne per celebrare i loro infiniti sacrifici. Lasciamole uscire la sera con le amiche. Regaliamo loro dei fiori.
L’otto marzo è diventato uno dei peggiori stereotipi della nostra società: il luogo simbolico dove sciacquarsi da tutte le discriminazioni vissute durante il resto dell’anno. La chiamano “festa delle donne”, mentre non c’è nulla da festeggiare. Oggi dobbiamo prendere consapevolezza che i problemi che le donne vivono ogni giorno dell’anno, sono problemi seri che meritano innanzitutto attenzione, poi analisi e infine soluzioni. Ed è questo lo scopo di uno sciopero: creare attenzione, e sì, anche disagio, come ogni sciopero che si rispetti.
Poi non tutte sciopereranno. Molte non se lo possono permettere. Molte non vogliono. Nemmeno negli anni Settanta c’erano tutte le donne in piazza, ma i diritti che ne sono derivati sono stati goduti da tutte. Ricordiamocelo.
Qui trovate la pagina ufficiale della manifestazione. E buon #lottomarzo.
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