Parole O_stili: il vaccino contro l’odio in rete (anche per le donne?)
“Cagna maledetta”
“Dovrebbe stuprarti un negro, così sarai soddisfatta”
“Brutta stupida puttana, vergognati”
“Perché non muori, così ci fai un favore?”
Di frasi come queste è pieno il web, sui blog, sui social network, su WhatsApp, e in generale ovunque si possa dare libero sfogo alla pur democratica facoltà di esprimere il proprio pensiero. Ma quando il proprio pensiero provoca danni alle persone a cui è rivolto, quando il libero pensiero si traduce in insulto, diffamazione e minaccia, allora diventa un problema. E i problemi vanno risolti.
Come possiamo risolvere il problema dell’odio in rete? A questa domanda ha cercato di rispondere Parole O_stili, un convegno – per dirlo alla vecchia maniera – che ha riunito addetti al settore da tutta Italia, dal mondo delle Istituzioni, del giornalismo, della psicologia, della pedagogia, della comunicazione, della formazione e delle aziende.
Sono molto orgogliosa che Trieste, la mia città si sia, ancora una volta nella sua storia, distinta per innovazione di pensiero e di iniziativa; sono felice che si sia partiti da qui per sperimentare e andare oltre le barriere di ciò che sembra a molti invalicabile. “Non dobbiamo rassegnarci al peggio” ha detto la Presidente della Camera Boldrini nel suo intervento istituzionale. E proprio questo ha fatto l’organizzatrice di questo evento, Rosy Russo, che ha provato a dire “Io non ci sto”, ed è partita con un primo obiettivo: creare consapevolezza.
In rete troverete molti racconti di questa valida esperienza; i temi trattati sono stati tanti e interessanti e qui trovate il programma dei 9 tavoli di discussione. Personalmente mi porto a casa tre considerazioni, l’ultima delle quali è un po’ amara, perché ci richiama alla consapevolezza che il problema culturale della discriminazione di genere è sempre presente. Anche in una manifestazione positiva come Parole O_stili.
1. Tra gli estremi “censura” e “impunità” deve esistere una soluzione equilibrata che tuteli sia il diritto di espressione e di opinione, sia il diritto delle persone a difendersi. E in questa difesa non possiamo solamente far affidamento sull’educazione individuale delle persone, ma ogni attore coinvolto nel processo di comunicazione deve fare la sua parte. Credo per esempio che Facebook abbia i mezzi per arginare il linguaggio d’odio senza cadere in azioni di censura. Dopotutto, la piattaforma applica già un algoritmo che ci fa vedere alcune cose piuttosto che altre e nessuno si è mai lamentato.
2. Non si può parlare di linguaggio d’odio senza includere un approfondimento specifico sulle categorie principali delle vittime. Da una ricerca SWG apprendiamo che le donne sono tra le categorie più colpite dall’odio in rete (assieme a migranti, gay e politici). Questo significa che il 50% della nostra popolazione ha un reale problema quando si affaccia sui media digitali. Ma poiché è stato più volte detto che il “virtuale” non esiste e che tutto ciò che accade in rete è REALE a tutti gli effetti, beh, possiamo avere l’ennesima conferma che le donne non vivono in un clima sereno e positivo (e paradossalmente peggiore del clima in cui vivono indagati e condannati, che sono in fondo alla classifica dei destinatari del linguaggio d’odio).
3. Se i relatori e le relatrici di un evento che vuole creare consapevolezza sul tema dell’odio in rete sono i primi e le prime che parlano al maschile o che fanno battute canzonatorie nei confronti della Presidente Boldrini per la sua battaglia sul linguaggio di genere, abbiamo un problema nel problema. Se poi i relatori sono sempre più numerosi delle relatrici, abbiamo un altro problema ancora (facendo un’analisi un po’ più precisa, gli uomini rappresentano in media circa il 68% dei relatori e sfiorano il 90% quando si parla di politica, legge e aziende; le relatrici sono in numero maggiore, anche se di poco, quando si parla di mass media ed educazione di figli e figlie). In sostanza, se in un momento di riflessione così ampio e pieno dei cosiddetti opinion leader e influencer, riuniti per creare consapevolezza di un problema, sono essi stessi parte del problema, il risultato sarà più difficile da raggiungere.
Parole O_stili è e rimane un’iniziativa importante e innovativa per un cambiamento in positivo del nostro modo di stare in rete. A questo primo appuntamento ne seguirà un secondo, a maggio, in Lombardia, per entrare nel vivo della questione: come si fa educazione su questi temi? E saranno coinvolte scuole, insegnanti, formatori e formatrici. Questo è il momento di lanciare un appello agli organizzatori e alle organizzatrici: avete fatto un lavoro enorme e bellissimo, non perdiamo l’occasione per lavorare – anche – sulle ragioni dell’odio e su come una buona parte di quest’odio sia un odio di genere.
Grazie e buon lavoro.
Benedetta Gargiulo
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